Ordine Architetti Bologna

Pompei in Egitto.

 

Diario e immagini di Stefano Pompei, giovane architetto, in spedizione archeologica lungo il Nilo.

Nell’agosto del 1960 il giovane Stefano Pompei, neolaureato architetto, parte per una spedizione archeologica in Egitto, sulle rive del Nilo, al confine con il Sudan.

Dal suo fondo archivistico professionale, conservato nell’Archivio Storico dell’Ordine Architetti Bologna, vengono le immagini che raccontano quel viaggio “iniziatico”, qui descritto con le sue parole, tratte da un diario della maturità.

 

Sabagura, Il sito.

 

A monte della vecchia diga d’Assuan c’è la piccola isola di Philae che il Nilo, a seconda delle piene, scopre o ricopre per molti mesi all’anno.

Subito a valle della diga di Assuan c’erano ben visibili vestigia della civiltà, ancorché non paragonabili con le imponenti magnificenze di Tebe est e ovest e (soprattutto) delle piramidi con annessa sfinge.

A monte e a sud la vecchia diga di Assuan è tutta un’altra cosa. La diga era stata costruita dopo la metà dell’Ottocento, press’a poco ai tempi del canale di Suez per controllare. La diga faceva sì che le piene, in modo perfettamente controllato, sì che il limo, invadesse al momento opportuno le sconfinate terre a nord depositandosi su di loro al momento della sua chiusura. Subito a valle della diga, a destra del fiume c’erano (il verbo va messo al passato) aree con alcuni siti monumentali di grande interesse, pieni di sfingi e di colonne.

Sulla sinistra, invece, alcuni piccoli villaggi di terra, case fatte con i blocchi di ‘pisè’ (argilla e paglia) e dipinte a vivaci colori.

Faceva, tra questi, eccezione Sabagura, una piccola città-fortezza copta ridotta a rudere. La cinta muraria, a cospetto delle macerie che la riempivano, appariva quasi intatta.

Ma la gran sorpresa si trova solo all’estremo sud, al confine con il Sudan, un monumento eccezionale ed unico: il tempio di Abu Simbel, interamente scavato nella roccia. Scavate in altorilievo le quattro colossali statue leonine con i loro possenti alti basamenti a proteggere, nel buio interno, le celle sepolcrali. La presa al potere di Nasser e della sua peculiare forma di socialismo ebbe subito come scopo dare acqua alle grandi pianure a Nord, per il grandioso piano di sviluppo dell’agricoltura. Lanciò un appello all’Unesco perché tutto il mondo, al di qua e al di là della cortina di ferro, partecipasse al finanziamento del titanico progetto. L’Unesco raccolse immediatamente l’appello. Il maggior impegno se lo accollò l’URSS. Fiancheggiata dalla Cecoslovacchia e dalla Germania est, altra potenza industriale. Anche la Cina in qualche modo rispose, come poteva.

In Egitto ricordo si trovavano a prezzi stracciati certe bottiglie termos e pentolame metallico.

Automobili Skoda e Moscovich.

Dalla Cecoslovacchia treni veloci stupendi, con vetture ‘salon’.

E’ proprio a Sabagura che capitai nell’estate del 1961. Praticamente posso dire che mi ci mandò il mio futuro suocero Massimo Pallottino. L’Università di Milano stava organizzando una missione in Egitto nel quadro di quell’iniziativa dell’Unesco. La missione era l’unica italiana, ma l’orgoglio finiva lì. Il ‘sito’ Sabagura appariva cosa da poco rispetto ad altri siti sulla sponda sinistra, ricchi di monumenti con sfingi e colonne la cui cura era assegnata ad altre università europee, ma tant’é.

La missione di Milano necessitava di un architetto che si occupasse del rilievo di quelli che, praticamente, non erano che ruderi. Non avevo mai fatto rilievi di campagna, con gli strumenti, ma tant’é.

Mio suocero con gli occhi che gli brillavano mi chiese:

“Ci andresti?”

E io: “Sì, di corsa”.

 

E così un gruppo di sette s’imbarcò a Venezia sull’Ausonia, verso l’Egitto.