In vista dell’organizzazione della VI edizione della Giornata nazionale degli Archivi di architettura contemporanea si propone di orientare ricerche ed iniziative su temi che evidenzino o riflettano sul ruolo sociale dell’architettura. Le iniziative potranno avere luogo tra il 15 e il 25 maggio 2106, la Giornata è fissata per giovedì 19 maggio.
In occasione della sua nomina a direttore della 15a Biennale di Architettura di Venezia 2016, Alejandro Aravena ha dichiarato: “Ci sono numerose battaglie che devono ancora essere vinte e molte frontiere che devono necessariamente espandersi per migliorare la qualità dell’ambiente edificato e, di conseguenza, per migliorare la qualità della vita delle persone”.
In un momento storico in cui sembra di registrare un cambio di direzione dell’architettura mondiale, un’inversione di tendenza dopo circa un ventennio di predominio sulla disciplina da parte delle cosiddette archistar, è interessante voltarsi indietro, guardare all’interno degli archivi di architettura del Novecento per fare un bilancio su quanto nel corso del secolo scorso è stato fatto in questa direzione. A partire dalla lezione dei nostri maestri del Movimento Moderno, rinnovata e riattivata nel senso dalle necessità del dopoguerra, passando per iniziative esemplari come quella compiuta da Adriano Olivetti; o per azioni sistematiche volte alla soluzione di questioni di necessità e urgenza con un carattere di seria pianificazione e non di improvvisata reazione all’emergenza, quale è stato, ad esempio, il Piano INA-Casa: gli architetti italiani hanno lavorato per una qualità diffusa, di poco clamore ma sostanziata da un impegno e una ricerca architettonica e urbana quali connotati fondanti di un mestiere inteso come un vero e proprio servizio sociale utile ad agevolare la vita quotidiana.
Ad esempio, i cosiddetti “architetti di Olivetti”, facendo proprio il monito centrale del pensiero olivettiano, hanno concepito la battaglia dell’architettura con un fine in primo luogo sociale giacché, come diceva lo stesso Adriano, “La battaglia dell’architettura si estende al di là dei suoi limiti professionali e al di là dei valori puramente artistici”.
Nella stessa ottica va letta l’architettura civile, partecipata di Giancarlo De Carlo, che nel 1964 scriveva “la validità dei risultati si misura dal grado in cui essi assolvono il loro impegno civile”. Nonché, in tempi più recenti, la responsabilità dell’architetto a cui ha richiamato Renzo Piano, che non a caso, per sua stessa dichiarazione, deve molto a De Carlo. Intere pagine, le più belle, della storia dell’architettura italiana del secolo scorso sono state scritte da professionisti che con il senso di un lavoro comune per la collettività hanno dato vita a case, scuole, fabbriche, interi aggregati urbani o rurali.
L’architettura giusta è quella necessaria, ma cosa è realmente necessario? Tutto ciò che concorre al miglioramento delle condizioni di vita di chi dell’architettura fruisce, alla qualità e alla vivibilità degli spazi pubblici, delle città, del costruito e più in generale dell’ambiente antropico.
In virtù del senso dato dagli architetti al disegno di un nuova società umana e urbana non sembra difficile reperire tracce negli archivi di privati e istituzioni che attestino questa lunga e densa fase progettuale, che si è espressa in diversi ambiti tipologici: l’edilizia popolare pubblica, i servizi sociali, le scuole, i luoghi di lavoro. E oltre a questo le bonifiche agrarie, il recupero delle aree rurali, i nuovi quartieri insediativi, gli stabilimenti produttivi. Insomma tutto quanto concorre alla definizione della Città dell’Uomo.
In nome della responsabilità sociale dell’architetto molti dei più importanti protagonisti della scena architettonica italiana hanno segnato tappe decisive della nostra storia nel corso del Novecento, la cui eco, reiterata dai documenti d’archivio oltre che dalle stesse opere, può risuonare ancora oggi e trovare un senso sempre attuale nell’utilità concreta delle riflessioni su questi temi.